TERRA NOSCIA

La scapece di Gallipoli: sapori dal Salento in formato fast-food

Un piatto probabilmente nato nell’Antica Roma e poi riadattato in tante altre città, tra le quali spicca Gallipoli.

a cura di Massimo Peluso

Parlare di scapece vuol dire addentrarsi nel cuore della storia del Salento, corredata di avvenimenti dolorosi. Questi portavano la povera gente ad inventarsi qualsiasi strategia pur di sopravvivere ai momenti più difficili.

Infatti, l’origine di questa ricetta, nata nel gallipolino, è conseguenza dei continui attacchi a cui fu sottoposta la cittadina, per via della sua posizione strategica sulle rotte del mar Jonio. Essi costringevano la popolazione a trovare una soluzione alla scarsità di cibo durante i periodi di guerriglia. Fu così che nacque la scapece.

Il nome deriva dal latino Esca Apicii, che ricorda Apicio, scrittore e cuoco dell’Antica Roma. Probabilmente fu l’inventore della scapece sotto varie forme, sia a base di verdure, sia di pesce, e che alcune città, come Gallipoli, hanno riadattato secondo la tradizione ed il pescato della zona.

Ovviamente, la particolarità della scapece era ed è la possibilità di potersi conservare a lungo, ma non bisogna pensare che fosse un pasto dei poveri. Si narra che Federico II di Svevia ne fosse un grande apprezzatore e ne ordinasse in grandi quantità durante i suoi banchetti reali.

Oggi, risulta essere un prodotto ricercato dai turisti, i quali incuriositi dal tipico colore giallo, non perdono occasione per degustarlo, in particolare nelle tipiche sagre e feste popolari salentine. Qui troviamo questi enormi recipienti in legno, che consentono ancora oggi di sentire gli odori ed i sapori della tradizione del nostro territorio.

Come preparare la squisita scapece di Gallipoli?

Preparare una buona scapece non è complicato. Ma, come ogni ricetta, ha i suoi trucchi che solo gli esperti, ossia i cosiddetti scapeciari conoscono, facendo attenzione a divulgarli solo ai loro allievi.

Per iniziare bisogna comprare un po’ di pesce fresco di piccola pezzatura in quanto, la tradizione di Gallipoli, prevede di non pulirlo delle interiora, ma di friggerlo direttamente in olio. Tra quelli più in voga ci sono le ope e i pupiddhi, ossia boghe e zerri. Risultano esserci varietà numerose di scapece, per cui la scelta è soggettiva ed in base al pescato del periodo.

Una volta terminata la frittura, il pesce dello stesso tipo viene sistemato nelle tinozze di legno e coperto con mollica di pane grattugiata immersa in aceto e zafferano. Fare questo lavoro per più strati sino a riempire il contenitore e lasciando in superficie qualche pesciolino scoperto.

La nostra scapece è pronta per essere mangiata in un solo boccone, in quanto l’azione di marinatura dell’aceto rende morbide le lische dei pesciolini. E’ così servito il Salento in formato “fast food”.

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